Rio de Janeiro

Se si pensa che è una metropoli di 10 milioni di abitanti, allora è possibile definirla una delle più belle città al mondo. La “ciudad maravilhosa”,  è sicuramente una città che sorprende, che ti spiazza, che ti rapisce fra le sue mille sfaccettature, ma se c’è qualcosa che la rende diversa dalle altre città brasiliane è sicuramente la sua eleganza. Rio infatti ti incanta, ti rapisce con i suoi colori, tramonti, litorali, le sue mostre, i suoi concerti, le sue bellezze, non solo naturali. Fra le cose che più mi hanno colpito di questa immensa metropoli c’è sicuramente quello che i carioca chiamano61025_10150264557840114_5494733_n “Por do Sol”, a Rio non vedrete mai lo stesso tramonto, ci sarà sempre una nuova prospettiva, ciò è dovuto proprio alla sua conformazione geografica di baie, montagne ed isolotti, che sfalsano la sua visuale ad ogni angolo, rendendola sempre unica e irripetibile. Il verde lussureggiante inghiotte qualsiasi casa abbandonata, la città  vanta grandi parchi e soprattutto delle spiagge bellissime, dove nonostante l’inquinamento è possibile trovare comunque un’acqua blu e fare il bagno un pò ovunque.

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Per capire Rio e riuscire a scrivere questo articolo son dovuta recarmi a Rio per ben tre volte,sembrava la parte di viaggio più facile da scrivere ed invece è rimasta incompleta per anni, perché Rio prima di essere descritta e giudicata, deve essere divorata e poi digerita pian piano. Ai miei occhi Rio nasconde sempre un gran fascino che va scoperto lentamente soprattutto nella vita quotidiana, quella di centinaia di pendolari che ogni giorno si recano da Niteroi al centro di Rio per lavorare, quella di migliaia di persone che affollano i suoi bus cittadini ed i suoi ristoranti, quella di tantissime persone che affollano le sue spiagge e le sue palestre quotidianamente.

47506_10150260400870114_4027530_nLa sensazione che ho sempre avuto a Rio de Janeiro è quella di potersi sentire in vacanza tutti i giorni,basta una passeggiata su uno dei litorali resi famosi da canzoni e scrittori come Gilberto Gil, Tom Jobim, Vinicius de Moraes e tanti altri, basta sorseggiare un succo dai frutti sconosciuti nella calura natalizia, basta veleggiare sull’oceano che circonda le sue montagne paffute, basta sedersi sul balcone di una qualsiasi casa con vista oceano.  Per visitare Rio per bene ci vorrebbe una settimana intera, oppure un mese intero, dipende da voi. Il motivo che mi spinge ogni volta a tornare a Rio è principalmente la presenza di Mestre Branco di cui ho parlato già diverse volte in questo blog di viaggi e del mio gruppo di capoeira “Escola Regional capoeira” che ha avuto origine proprio in questa bellissima città. Visitare Rio de Janeiro con degli amici carioca, così vengono definiti gli abitanti di Rio, è certamente un vantaggio per scoprire tutti gli angoli nascosti della città e soprattutto ricevere tutti i migliori consigli per sfruttarla al meglio.

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I miei amici carioca abitano a Niteroi, un’isoletta di circa 500.000 abitanti esattamente di fronte a Rio collegata alla terraferma sia da un ponte e sia da un traghetto con il quale in 15 minuti si raggiunge il Centro di Rio. C’è un traghetto che parte ogni 10 minuti, sempre pieno di pendolari al mattino e nelle ore pomeridiane, molto comodo, sconsiglio vivamente per chi volesse pernottare a Niteroi di utilizzare l’autobus. Il traffico di Rio è infernale, soprattutto nelle ore di punta. Niteroi è una sorta di isola felice, con spiagge bellissime e selvagge come Itacoatiara47865_10150263216430114_5844007_n che ospita persino una tappa dei campionati mondiali di bodyboard femminile e maschile. La particolarità di Niteroi è che oltre ad essere più tranquilla vanta la migliore prospettiva su Rio per vedere il tramonto,  con il sole che scende piano proprio sulla città, prospettiva che non riuscirete mai ad avere se rimanete a Rio. I tramonti visti da Niteroi sono una delle cose più belle che mi porto nel cuore assieme al famoso Museo di Arte Moderna e Contemporanea costruito dal centenario architetto Oscar Nyenmar, morto nel 2012.58954_10150264544280114_1084931_n Le opere dell’architetto sono famoso in tutto il mondo, a Niteroi ha costruito questo bellissimo museo a forma di disco volante, per gli amanti della fotografia è un must. Sempre nella stessa zona Oscar Nyenmar ha costruito altri edifici dalle forme particolari, un teatro ed una biblioteca, ben inseriti nello spazio e nella geometria del loro orizzonte. Niteroi vanta comunque spiagge più balneabili della vicinissima Rio, come ad esempio la selvaggia Itacoatiara, dove annualmente si svolge anche un campionato mondiale di bodyboard e Camboinhas una spiaggia molto frequentata dove è possibile prendere un ombrellone, sorseggiare birra e mangiare del pesce fritto molto buono. 12552902_10156402896240114_8431665044261253155_nIo amo passeggiare sul lungomare di Sao Francisco, una delle più belle baie di Niteroi, mi piace sedermi sul muretto di fonte al mare ed osservare la gente che appena finito di lavorare si reca in spiaggia per correre, fare ginnastica nelle strutture gratuitamente offerte dalla città per mantenersi in forma, chiacchierare con i passanti che puntualmente mi scambiano per una ragazza del posto oppure per argentina. Mi piace ascoltare i racconti della gente, tutti affascinanti dalla nostra bellissima Italia e tutti innamorati del nostro ottimo cibo. Il posto più bello dell’isola è sicuramente Parque da cidade, un posto sperduto nella mata atlantica appena sopra uno dei tanti colli che circonda Niteroi, il panorama che si gode in cima è forse uno dei più belli di tutta Rio.58598_10150260384145114_1071333_n

Il centro di Rio non è bellissimo, ma solo un insieme di edifici e chiese senza armonia e pieno di smog, vale però la pensa informarsi sulle tantissime mostre che ospita una metropoli come Rio, in particolare tenete d’occhio la Caixa Cultural ed il Centro Cultural Banco do Brasil , ogni volta che sono stata a Rio ho potuto guardare mostre di arte o di fotografia bellissime e spesso gratuite. Fra le zone più affascinanti come non nominare Santa Teresa, la più vecchia di Rio, simbolo di una ricchezza decaduta, animata da artisti ed intellettuali, con il suo caratteristico tram giallo, chiamato Bonde 46582_10150263227045114_7716353_n che attraversa tutta la città vecchia, ricorda molto Lisbona per chi di voi ci fosse stato. In questa zona è possibile incontrare molti negozietti caratteristici con prodotti tipici o naturali, luoghi alternativi,  in cui è possibile riposarsi a bere un acai che non mancherà mai nei vari chioschi sparsi lungo le strade. Sempre li vicino sorge anche il Parque das Ruinas, non tanto famoso per le sue rovine quanto per il panorama che si può godere dall’ultima piano dell’edificio. Tutta questa zona non è considerata fra le più sicure della città così come il vicino quartiere di Lapa. In merito alal sicurezza sentirete tante versioni diverse, nella mia esperienza personale non mi è mai successo nulla, tanto meno mi son sentita mai in pericolo, resta il fatto che il quartiere è stato centro di rapine ed omicidi e che gli stessi carioca non amano passeggiare per queste stradine e vi consiglieranno di stare molto attenti. Lapa, con il famoso arco che sovrasta la città, non è sicuramente il quartiere più tranquillo di Rio, ma tenendo sempre gli occhi aperti potrete girarlo senza problemi perdendovi fra i suoi mille murales di denuncia sociale e politica oppure dedicati al calcio. Lapa sta attraversando un periodo di rinascita culturale che le ha permesso di trasformarsi in un panorama bohemien. Sicuramente è il luogo dove andare a ballare la sera, forrò,samba,tutti i diversi tipi di musica,ovviamente se siete donne non vi consiglio di andarci da sole, significherebbe non riuscire a tornare a casa da sole, anche se c’è anche chi desidera questo. In compagnia è sicuramente un posto dove divertirsi, scoprire il ritmo e la vera natura del popolo brasiliano a cui piace ballare, bere, chiacchierare, mostrarsi agli altri. Salendo per le sue salite e vicoli stretti si arriva alla famosa “Escadaria Selaron”, da quando l’artista cileno Selaron decise di ricoprire questi 215 scalini con mosaici colorati provenienti da tutte le parti del mondo, purtroppo recentemente questa scalinata è stata luogo di un tragico evento, lo stesso artista è stato infatti trovato morto sulle stesse scalinate, una grande perdita per la stessa città carioca.60549_10150264551610114_4987422_n

Meritano una visita il Giardino Botanico, il Parque da cidade, la Lagoa Rodrigo de Freitas e sicuramente lo stadio Maracanà per gli appassionati di calcio.

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Se devo dirvi quale è il mio posto preferito di Rio de Janiero, non ho dubbi, è il Pão de Açúcar (Pan di zucchero). Leggermente meno famoso del suo cugino il Cristo, il Pan di zucchero è un colle alto circa 400m che si raggiunge con la funivia che collega il Morro di Urca al colle che invece ha dato nome a questa attrazione. Se avete molto tempo a disposizione è possibile raggiungere la cima a piedi, un cammino di circa un’oretta molto ripido, ma facile, oppure è possibile fare una passeggiata attorno al Morro di Urca, questa passeggiata è chiamata Pista Claudio Coutinho.

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Da questa posizione, sia che siate in cima al colle, sia che stiate girandoci attorno si gode di uno dei panorami più belli della città, circondato dal mare e da una serie di baie private, il pan di zucchero sorge inoltre nel quartiere, sempre secondo la mia opinione, più belli di Rio, Urca. 46663_10150260445380114_6663802_nIn questa piccola area molto ricca troverete villette di ogni tipo ed una tranquillità che avevate sicuramente perso nel vostro tragitto per raggiungerla. Nel piccolo porticciolo esclusivo ai piedi del monte è possibile rilassarsi sorseggiando una birra o un’acqua di cocco. Il pan di zucchero come il Cristo è spesso ricoperto dalla nebbia, io son sempre stata fortunata ed ho beccato entrambi senza neanche una nuvola ed anzi, il panorama che si può godere dall’alto di questi monti è sensazionale. Diciamo che la differenza fra i due è che il pan di zucchero è meno turistico. Il Cristo invece rappresenta fondamentalmente il simbolo della città meravigliosa, ma di per se non è molto bello, sicuramente più suggestivo che altro. Per raggiungerlo è necessario prendere una sorta di trenino che attraversa tutta la foresta sottostante, quasi quasi devo dire che è più bello il tragitto e l’aspettativa che il luogo stesso. Anche al Cristo probabilmente sarebbe bello andarci più volte durante uno stesso giorno, al mattino, al tramonto e poi la sera per vedere tutte le luci di questa città stupefacente.61785_10150263221840114_139381_n

L’altra attrattiva di Rio sono le sue lunghissime spiagge, personalmente mi sono dedicata a Copacabana, Ipanema, Leblon, per farle tutte a piedi vi conviene raggiungere Leblon in bus e da li camminare per una giornata intera fino a raggiungere Copacabana, meglio evitare la spiaggia di Botafogo, infelicemente famosa per le sue rapine anche in pieno giorno. Alle spalle di queste famosissime spiagge si tagliano alti i  “dos irmaos” cosi sono chiamati i due monti che sorgono nella parte ovest della spiaggia, famosi purtroppo per le due grosse favelas che sorgono ai suoi piedi e dove la Hilton ha costruito un grandissimo albergo che è proprio un pugno negli occhi e al cuore.41011_10150260458305114_7762870_n E’ possibile fare una bellissima camminata nel bosco e salire fino in alto ai dos irmaos, da dove si può godere una vista meravigliosa, il percorso è segnalato, basta prendere un mototaxi e farsi lasciare all’inizio del cammino, ormai conoscono i turisti e benchè vicino alle favelas, quasi nessuno cercherà di ingannarvi, nessuno ci guadagna, tanto meno il turismo a trattarvi male. La spiaggia di Ipanema è divisa in settori ed ogni settore numerato è dedicato ad una certa tipologia di persone, c’è quella dei surfisti, quella degli artisti, quella dei fighetti, quella dei ragazzini di strada, insomma potrete dilettarvi nell’osservare le bellissime “garrota de Ipanema” oppure i fusti brasiliani, in entrambi i casi è un bel vedere, ve lo assicuro. Potete affittare una tavola da surf in uno dei tanti negozi alle spalle della spiaggia, occhio ai prezzi ed ovviamente al localismo in mare. 59886_10150263229470114_1249803_n

Un altro luogo imperdibile è Barra da Tijuca, ad appena un’ora di bus dal centro di Rio de Janeiro è famosa per la sua bellissima spiaggia, le sue sfarzose ville, la bella gente, le modelle,i ristoranti ricercati e le sue bellissime palme che si ergono lungo tutto il lungomare rendendolo un posto incantevole dove passare una giornata, soprattutto se siete giovani avrete la possibilità di sorseggiare un drink in uno dei suoi bellissimi locali sulla spiaggia e fare a amicizia con qualche bellezza locale. Barra di Tijuca sembra il set tipico di una delle tante bellissime foto di Mario Testino e delle sue bellissime modelle come ad esempio Giselle Budchen.

Ognuno di voi scoprirà un pezzo di Rio che qualcun altro che ci è stato non ha mai visto, così come molti sono incuriositi dalle favelas e fanno di tutto per andarle a visitare. Personalmente non trovo le favelas un’attrazione turistica, quindi non sento questa necessità, lavoro per una ONG in cui spesso si lavora su progetti che cercano di aiutare i ragazzi delle favelas tramite attività sportive e socio culturali. Mi sarebbe piaciuto andare a visitare qualche progetto educativo, qualche scuola ubicato nelle favelas, ma non ne ho avuta occasione, i miei amici carioca mi hanno detto che è molto pericoloso e che è meglio lasciar stare, più lontana rimani da questa realtà e meglio è, lontana fisicamente, sicuramente non con il cuore, ma questa è un capitolo lungo che meriterebbe un spazio tutto suo, sicuramente non su di un blog di viaggi.

BUZIOS

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Da Rio de Janeiro è possibile raggiungere moltissimi posto come Ilha Grande, Ilha Bela, Paraty o Buzios, noi durante la nostra prima visita abbiamo optato per quest’ultima. Buzios è diventata famosa grazie a Brigitte Bardot, la quale nel pieno della sua carriera di attrice, quando aveva un fidanzato brasiliano, fu la prima a scoprirne le bellezze di questo gioiellino sul mare, che è oggi paragonabile ad una piccola Saint Tropez. 41022_10150261255025114_3738234_nBuzios ha infatti un turismo molto ricco ed è considerata molto vip, sicuramente resta un posto incantevole che può offrire diverse tipologie di alloggio, negozi, ristoranti. Per raggiungerla bastano 3 ore di autobus dalla stazione centrale di Rio de Janeiro. Noi abbiamo soggiornato nella pousada di un amico del mio coinquilino argentino che ce l’aveva consigliata ed aveva preso i contatti con lui affinchè potesse farci un prezzo di favore, inutile dirvi che non solo ci ha fatto un prezzo fantastico, ma soprattutto siamo rimasti a bocca aperta nel vedere che la pousada era una di quelle di lusso che mai ci saremmo potuti permettere senza sconto. La Pousad Amancay sorge su una scogliera e tutte le sue camere hanno vista sul mare, la pousada è molto accogliente, pulita, dotata persino di una bellissima piscina e numerose vasche idromassaggio dalle quali si vede il mare, in paradiso non ci sono ancora stata, ma se me lo dovessi immaginare mi augurerei che fosse così.

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Passeggiare per Buzios è molto romantico, il suo lungomare è costeggiato da negozi molto ricercati, colorati e bellissimi bar in cui rilassarsi alla luce dei tramonti. Buffa è la statua dedicata a Brigitte Bardot che sorge proprio in riva al mare, c’è persino un museo a lei dedicato con una serie di fotografie interessanti che ricordano il tempo che ha passato in Brasile ed a Buzios. Sempre sul lungomare  è possibile scorgere in acqua, un monumento dedicato ai pescatori, sembrano tre veri uomini che tirano le funi di una rete da pesca, è molto suggestivo soprattutto al tramonto. Buzios è anche rinomato luogo per surf e bodyboard, c’è una spiaggia molto bella esposta al vento ed a onde molto alte. La particolarità di Buzios è che nell’arco di una passeggiata di un’ora si passa da baie tranquille e caraibiche a baie che ricordano invece la costa burrascosa dei mari del Nord. Prenotando invece un tour con una barca tutta di legno è possibile invece visitare tutte le isole ed i luoghi più nascosti di Buzios, il tour che dura una giornata intera è molto divertente, durante il tragitto in mare offre capirinha ed altri cocktail a consumo illimitato, cosi alla fine son tutti ubriachi e felici. L’ultima tappa di questo bellissimo tour porta in quella che chiamano la “Rua do Bikinis”, una via piena di negozi interamente dedicati ai bikini, ed in Brasile ne potete trovare di tutti i tipi a tutti i prezzi, impossibile resistere alla tentazione di comprarne uno, soprattutto quando scoprirete che è possibile farsene fare su misura.

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Non mi sono mai stancata di un posto come Rio de Janeiro ci ritornerei un numero infinito di volte, forse ci andrei a vivere se ne avessi la possibilità, Rio non mi spaventa, anzi mi attrae inspiegabilmente verso se, ed io ogni volta mi sento sempre più a mio agio e sicura fra le sue strade, fra le onde del suo oceano, in mezzo alla sua gente. Si chiama forse saudade? Probabilmente si.

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Scritto da Roberta Masciandaro

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L’Italia oltre l’oceano

imageDa queste parti praticamente tutti hanno almeno un nonno italiano. Un legame che si sente specialmente a São Paulo, in Uruguay e a Buenos Aires dove, quando parlando viene fuori che sei italiano, é sempre una festa. Le persone parlano volentieri delle loro origini italiane, escono storie belle e interessanti, come quella che ci ha raccontato la proprietaria di un bar a Cabo Polonio quando, incuriosito, le ho chiesto di chi fosse il cappello da alpino appeso alla parete del locale.

Il cappello era di mio nonno, ha fatto la resistenza in Italia dove ha combattuto sulle montagne con gli alpini. Pensa che insieme a diversi compagni sono rimasti asserragliati sulle montagne quando la guerra ormai era finita da oltre due mesi, perché la notizia non gli era arrivata”.

L’impronta lasciata dagli emigranti italiani che, nelle varie epoche, sono arrivati in questa zona di mondo é molto forte.
Appena arrivati in Uruguay il menú del ristorante, di quasi ogni ristorante, parla italiano. Il piatto del giorno sono gli gnocchi, “Come ogni 29 del mese” scopriamo poco dopo parlando con la cameriera (anche lei un paio di nonni italiani ovviamente). Una tradizione presente in Uruguay, Paraguay e Argentina. Un retaggio culturale che racconta di quando a fine mese bisognava tirare la cinghia e da lì la necessità di un piatto semplicee poco costoso.

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É bello pensare ad un diverso genere di ‘colonizzazione’. Non la colonizzazione militare, violenta o comunque imposta ma una costruzione culturale, portata avanti attraverso il contributo di tutti i diversi popoli migranti che hanno soggiornato in un Paese portandosi dietro, oltre alla fame e alla speranza di un futuro migliore, anche il loro bel bagaglio culturale.

“In Uruguay gran parte del codice civile e penale attingono a piene mani da quelli italiani” ci racconta Massimo, nato a Montevideo da genitori italiani. “Lo stesso vale per la costituzione”  aggiunge “E purtoppo anche per la burcrazia e un apparato statale sovradimensionato”.

Le stesse celebri case colorate del caminito a La Boca, una delle attrazioni piú celebri di Buenos Aires, sono state create dai portuali migranti genovesi e di altre parti del mondo. Gli avanzi della vernice per le barche, usati per dipingere le lamiere delle case (forse per dare un pizzico di colore ad una vita altrimenti molto grigia), hanno creato in maniera involontaria un luogo visitato ogni giorno da migliaia di turisti da ogni dove.

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Ultimo tango a Buenos Aires

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Il tango, danza passionale e melanconica, metafora sublime dell’interazione tra i sessi, é ormai un’icona di Buenos Aires. Le sue diverse rappresentazioni, in forma di ballo di strada, manifesti consumati alle pareti, storiche accademie, antichi vinili o scintillanti murales sono presenti in ogni angolo della cittá finendo per essere essenza stessa di questa metropoli da 12 milioni di abitanti.

I pochi minuti di spettacolo visti a La Boca, con un’esibizione di tango ad uso e consumo dell’orda di turisti seduti ai tavolini del ristorante, mi spingono verso l’idea che ho giá visto abbastanza. Se non posso assaporare almeno un po’ del fascino autentico di quest’arte danzata, credo abbia poco senso andare in un locale solo per aggiungerlo alla ‘lista delle attrattive imperdibili’ viste. Ma é difficile ripartire senza aver approfondito la questione. Decido quindi di andare ad uno spettacolo solo nel caso in cui riesca a trovare un luogo che non sia la solita trappola per turisti.

Mi aiutano nella scelta Leandro e Gabo (Gabriel) fratelli porteñi che mi guidano concretamente e virtualmente (Gabo vive a Firenze ormai da diversi anni) nella visita alla cittá.

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La Cathedral del tango é il luogo consigliato. Il nome mi suona un po’ troppo altisonante ma mi fido del consiglio anche perché (cosa non banale da queste parti) é facilmente raggiungibile a piedi dal nostro BnB.

Niente di piú sbagliato del mio presentimento. Appena arrivato mi rendo conto di essere nel posto giusto. La cathedral prende il suo nome, probabilmente, proprio dall’edificio, un’enorme stanzone con un vecchio pavimento di legno consumato dal tango e un soffito altissimo. Uno spazio enorme, impressionante, quasi privo di luce e ricco fascino. Il bancone in fondo alla sala che serve molte bevute e in modo meno frenetico anche del cibo (vegetariano!) si intravede a malapena, dalla parte opposta sorge un grande palco piramidale. Addossati alle pareti, i tavoli circondano la pista da ballo in mezzo alla sala, l’unica zona illuminata da fari e vecchi riflettori. Le panche sono fatte da cassette vuote di birra Quilmes rovesciate con appoggiate sopra delle vecchie assi e si capisce subito che non é un effetto ricercato per dare un tono piú autentico all’ambiente. Alle pareti vecchi poster, pezzi di antiquariato e cartelloni confermano la sensazione di essere in una sorta di autentico ‘Circolo Arci’ del tango. I bagni e la piccola sala adiancente non sono da meno: materiali di riciclo, strani quadri, una motocicletta anni ’60 (siamo ad un primo piano ad almeno 10 metri di altezza), un pianoforte mobile e uno strano oggetto appeso al soffitto (che viene definito dai presenti al tavolo come un mix tra un dirigibile incidentato, l’acchiappasogni di un film di Tim Burton e un cuore in versione anatomica) completano il quadro.

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In pista, sotto le luci, si susseguono le lezioni di tango col maestro che guida con gesti e sguardi autoevoli gli allievi, mostrando i passi e le movenze e poi passando a correggere gli errori. Le coppie ballano formando un grande movimento circolare con la musica di sottofondo che detta i tempi, ma lascia la possibilitá di essere interpretata e seguita in modi molto diversi. I tangueros si immergono completamente nella musica, un gioco di passi e seduzione. Un gioco maledettamente serio, non c’é spazio per sorrisi o imbarazzi; si balla con tutti sé stessi, in modo assoluto, senza ripensamenti, come un grande attore di fronte alla platea piú importante della sua vita.

Dopo varie ore di lezioni, con uno sketch degno di un film di Kustica, entra in scena un pianoforte mobile con un gatto mezzo nero e mezzo bianco sopra che girella nervoso sul ‘tetto’ del piano; non ne vuole sapere di scendere dalla sua cuccia e attraversa tutta la sala come un re innalzato dai suoi schiavi per posizionarsi perfettamente nel mezzo.

La banda non é da meno. Il cantante, chitarrista e leader sfoggia una criniera leonina di capelli e una voce che non ammette repliche. Lo accompagnano un fedelissimo percussionista tutto vestito di nero, completamente rasato fatta eccezione di tre lunghe trecce di capelli che partono dalla nuca e un’ affascinante clarinettista vestita in modo elegante. Sono tutti talmente diversi l’uno dall’altro da completare alla perfezione l’immagine del gruppo.
Che la milonga abbia inizio!

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Storia di una scarpa spaiata

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El zapato

Una storia nella storia.
Quella di una scarpa, una scarpa destra per la precisione, partita lo scorso anno da Buenos Aires. Ai piedi o nella valigia, questo non é dato saperlo, di una ragazza argentina che con il marito ha viaggiato per tutta l’Europa, passando anche da Firenze.
Un soggiorno fiorentino per il quale la coppia scelse un Air Bnb in collina con vista sulla cittá, dove trascorse un piacevole soggiorno, cosí rilassante da dimenticare Derecha, la scarpa, in camera proprio prima di partire.

Una serie di appassionate lettere (elettroniche in questo caso) e lunghe telefonate provarono fin da subito a riconciliare la triste separazione di Izquierda e Derecha ma, come in ogni dramma che si rispetti, molto tempo e molte prove si sarebbero frapposte all’incontro.
Grazie ad un prode messaggero (Poste Italiane) il lieto fine sembrava possibile e le due metá avrebbero dovuto incontrarsi a Roma per poi volare via insieme felici verso casa. Ma uno scherzo del destino (e un fatale errore del messaggero) mischiarono di nuovo le carte allontanando la tanto sospirata riconciliazione.
Izquierda volava triste verso Buenos Aires mentre la povera Derecha era costretta a restare, sola, in un Paese straniero e lontano da casa.

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E cosí passarono i giorni, le settimane e infine i mesi. Le speranze di potersi riunire piano piano si affievolirono fino quasi a spengersi. Ma una scintilla rimane sempre viva sotto la cenere e il vento di una novità riaccese in un attimo il fuoco della speranza. Un nuovo viaggio, lungo, difficile e complicato, poteva portare di nuovo Derecha tra le braccia di Ezquierda.

Innumerevoli peripezie, condizioni climatiche avverse e proibitive e 3000 chilometri percorsi con ogni mezzo, portarono infine di nuovo Derecha a Buenos Aires, grazie alle cure di una coppia di avventurosi viaggiatori che accettarono la sfida di ricondurla, sana e salva, a ritrovare finalmente l’amata.

Oggi Derecha e Izquierda camminano di nuovo felici per le vie di Palermo, tra negozi e ristoranti, sempre appaiate e, finalmente, inseparabili.

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Oltre il tempo e lo spazio

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Cabo Polonio

Dopo meno di un giorno a Cabo Polonio ho la sensazione di essere qua da una settimana.

In poco meno di 24 ore ho giá vissuto tutte le stagioni possibili. L’arrivo sotto il diluvio, la pioggia incessante, il vento che magicamente apre il cielo riportando un sole perfetto e inimmaginabile, lo stesso vento che cresce a dismisura e ricopre il cielo -un cielo immenso, da fine del mondo- di un nuovo strato di nubi; un vento che poi, una volta sistemato il cielo, si dedica a modellare la terra facendo volare via tutto quello che trova sulla sua strada, a partire dalla sabbia che si alza e trafigge le gambe come tante punture di spilli. La passeggiata romantica sulle dune é rimandata.
Andando verso la parte centrale si scopre un altro clima e un altro mondo. La pioggia é cessata ma l’acqua continua a scorrere abbondante nei piccoli torrenti che si sono creati lungo le strade. L’aria adesso é limpida, il vento ha abbassato la sua intensita ma resta freddo e obbliga a riesumare dalla valigia felpa, giacca e tutti quegli indumenti che pensavo avrei rimesso solo una volta atterrato in Italia.

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Il sole da queste parti tramonta tardi e c’é ancora tempo per un bel giro. Camminando tra le strade di terra e fango inizio a farmi un’idea del luogo. La punta rocciosa, con il faro e un piccolo promontorio, divide le due spiagge di Cabo Polonio, vicinissime eppure opposte: una col mare piú calmo ma un’acqua gelida e l’altra con un mare sempre agitato ma in cui si possono lasciare i piedi a mollo senza il rischio del congelamento. In mezzo uno sperone roccioso su cui vive una folta colonia di leoni marini. Osservarli diventa una delle attivitá principali; si possono distunguere facilmente i maschi alfa, la piccole colonie, le divisioni territoriali, i ruggiti e le lotte per stabilire le gerarchie e i confini.

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Come il concetto di tempo anche quello di spazio si astrattizza e riesco a farmi una vaga idea della geografia del luogo solo seguendo cartine e disegni che provano a racchiudere Cabo Polonio in un foglio. Altrimenti, nella pratica quotidiana, camminare é un perdersi costante tra dune, case sparpagliate senza una logica e un dedalo di strade abbozzate che si interrompono, scompaiono nel nulla o (piú probabilmente) ti riportano al punto di partenza. L’unica certezza, come ci dicono appena arrivati, é il mare. Seguire quel confine naturale, certo e indiscutibile é il solo modo di non perdersi. Sempre che uno non decida di volersi perdere ovviamente, cosa piacevolissima da queste parti.

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La vita scorre tranquilla seguendo i ritmi della natura. L’acqua che si usa per lavarsi, cucinare e quant’altro é quella piovana. Lo stesso vale per la luce, figlia del sole e l’elettricitá che, se l tempo lo consente, viene accumulata grazie ai pannelli solari. Gli sprechi sono banditi. Il sistema é delicato ma regge bene. C’é un forte senso comunitario e chi sceglie di venire a Cabo Polonio lo fa in maniera consapevole. Tutti cercano di autoprodurre quello di cui hanno bisogno, dall’insalata alla ganja, che é stata legalizzata e nelle serre locali non mancano le piantine con foglie a cinque punte accanto a basilico e pomodori.

Il nostro vicino di casa passa un paio di volte al giorno con un cestino di cibo, piccoli panini con tonno e carote o dolci fatti in casa. “É un ottimo fornaio -commenta Daniel- averlo come vicino é una fortuna per me, non ho mai tempo di cucinare e lui passa sempre al momento giusto”. I panini sono molto buoni in effetti. “É molto tempo che fa il fornaio?” chiedo a Daniel. “Tre giorni” mi risponde lui come se fosse la cosa piú naturale del mondo.
Ma da queste parti chi ha un forno é un fornaio e chi ha le mani é architetto, marinaio, idraulico, muratore, elettricista, pescatore e tutto quello di cui c’é bisogno.

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Cabo polonio: benvenuti alla fine del mondo

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Cabo polonio

Alla fine del viaggio, alla fine dell’anno, alla fine del mondo.
Cabo Polonio é un posto unico, lontano da qualsiasi altro luogo visto finora, si respira un’atmosfera speciale, difficile da descrivere. E la descrizione del luogo in sé non renderebbe sufficientemente la sensazione che si prova entrando a Cabo Polonio, l’idea di essere arrivati in un luogo alla fine del mondo.

Il viaggio di arrivo contribuisce a tutto questo. Ci svegliamo a La Paloma immersi nella nebbia per partire poco dopo sotto un diluvio che cancella tutto quello che abbiamo intorno, un muro d’acqua che non accenna a smettere. Il tempo e lo spazio si comprimono e si dilatano. Il bus ci scarica ai confini del parco naturale di Cabo Polonio, a quel punto -sempre sotto il diluvio- saliamo su una vecchia camionetta militare da deserto, con un tetto molto abbozzato e delle ruote enormi. Un viaggio in mezzo alle dune di sabbia, con guadi e continui saliscendi, ci porta ad un mare surreale, ricoperto di nebbia, l’ultimo tratto é tutto sul bagnasciuga della spiaggia fra carcasse di foche e leoni marini. Sembra una scena ambientata in un ser cinematofrafico, Mad Max o una puntata di Ai confini con la realtá. Siamo finalmente a Cabo Polonio, ma non é ancora finita. Manca una camminata di oltre un chilometro su un’immensa spiaggia deserta, alla ricerca della nostra cabana. É l’ultima, giusto prima del deserto di dune. Una costruzione semplice, affascinante nella sua struttura rudimentale, molto legno e poca architettura, tirata su con materiali di riuso si regge soprattutto sull’amore e sulla pazienza.
Come in una barca, ogni spazio é sfruttato al massimo e non c’é niente che sia superfluo. Le presentazioni e il tour guidato della casa si esauriscono in pochi secondi. Senza muoverci dal punto in cui siamo entrati e restiamo gocciolanti vediamo cucina, bagno, sala, camino e le scale per il dormitorio che é poi la parte soppalcata dello spazio unico in cui ci troviamo.

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Come spesso accade, quello che sembra uno spazio claustrofobico inizia col tempo ad assumere i suoi contorni e il suo senso. “Immagina che qua ci sia il tuo armadietto” dice Daniel, il proprietario, indicando uno spazio vuoto della stanza “ci puoi mettere tutte le tue cose” aggiunge sorridendo.image

L’essenziale c’é, e tutto il resto diventa velocemente superfluo. Il cibo si puó prendere dalla dispensa “basta poi riportarne dell’altro – dice Daniel – non deve essere per forza la stessa cosa. L’importante é che ci sia sempre qualcosa da mangiare”. E cosi é. La coppia di brasiliani che hanno appena finito il loro soggiorno ci lasciano due piatti caldi appena cucinati, é una semplice pasta molto cotta con del riso e mais, ma é il migliore dei benvenuti possibili. Iniziamo a mangiare riconoscenti mentre ci scaldiamo e proviamo ad asciugarci di fronte al camino, a nostra volta lasceremo altro cibo prima di ripartire.

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ABC Brasil

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Agua de coco

A: agua de coco

Un vero classico brasiliano. La parola perfetta per iniziare questo abecedario semiserio. Per mille motivi. Il primo, personale, é per come ha accompagnato il primo viaggio in Brasile. Fin da prima della partenza l’agua de coco mi è stata come una delle cose piú buone e tipiche, ma anche come un ottimo dissetante naturale, ricchissimo di proprietá e capace di riequilibrare l’organismo provato dal cambio di emisfero. ‘Bevitene una al giorno e vai tranquillo!’ la raccomandazione dell’esperta Zia Tanajura prima della partenza. Un consiglio prontamente seguito: niente di meglio di un agua de coco bel gelada per mitigare il caldo torrido appena sbarcati a Bahia. E poi in tutte le spiagge a seguire. Un fedele compagno di viaggio.

Gustarsi un cocco all’ombra di una palma ammirando il panorama di una bellissima spiaggia tropicale é la classica ‘cartolina’ di molti viaggi, uno stereotipo che -posso assicurare- si vive con estremo piacere!

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Biquini

B: biquini 

Il due pezzi é un altro oggetto di culto da queste parti. Nelle cittadine di mare ‘Rua do biquini’ vale una nostra ‘Piazza Vittorio Veneto’.

Negozi specializzati vendono ogni tipo di forma e fantasia. Al pari della versione maschile (costume, maglietta e infradito), il bikini in molte localitá é una divisa che va bene per tutte le stagioni.

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Capoeira Escola Regional Rio de Janeiro

C: capoeira

Uno dei motivi principali che mi hanno portato a venire per la prima volta in Brasile, in un viaggio tra Salvador e Rio de Janeiro a conoscere due grandi insegnanti di questa bellissima arte, Mestre Carlito (Quilombolas) e il fondatore della nostra scuola Mestre Branco (Escola Regional Capoeira). Difficile riassumere in poche parole l’importanza della capoeira, sia in senso assoluto, per la storia del Paese, sia in senso soggettivo, come percorso di conoscenza e consapevolezza di me stesso e dell’interazione con gli altri.

Un percorso che ogni anno si rinnova e si rinforza. Quest’anno il Capoeira Mundi e il batezado di Mestre Branco, con ospiti internazionali, sono stati ufficialmente riconosciuti per la loro importanza e valenza culturale. La capoeira é inoltre dallo scorso anno ‘partimonio immateriale dell’umanitá’.

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Natale tropicale

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Natale tropicale

Di fronte ad alberi di natale giganti, agghindati con tutti i crismi ma circondati dalle palme locali e a babbi natale che si sciolgono sotto i 35 gradi non é facile affrontare e comprendere la versione tropicale del Natale.

Ormai abituati all’estetica natalizia di Santa Klaus, con tanto di renne, barba bianca e giacca rossa e neve che scende copiosa nella palla di vetro si fatica ad immaginare la sua trasposizione in climi che prevedono bermuda e infradito come divisa ufficiale.

Eppure non manca il trionfo di lucine a decorare quasiasi albero, vivente o meno. A partire ovviamente dagli abeti, giganti e finti dato il clima, per passare a palme, banani e ogni altro genere di pianta che a queste latitudini cresce con un vigore tale da fare invidia a qualsiasi botanico. Anche le case e i negozi sono pieni di simboli natalizi che producono un effetto inevitabilmente straniante. Perché con questo clima il desiderio piú forte non é quello di riunirsi con la famiglia davanti al focolare ma di tuffarsi in acqua per sottrarsi alla calura.

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Molto meglio l’interpretazione di Santa Caterina dove i babbi natale sono declinati in vesione surfista con tanto di bermuda e tavola da surf sotto braccio. É qua che incontriamo una dune buggy e un pickup pieni di ragazzi vestiti da babbi natale che affrontano con musica ad alto volume (con grande allegria e una buona dose di alcol) le dune e i saliscendi delle strade sterrate locali.

 

 

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Di fronte al nostro entusiamo si fermano a salutarci e uno di loro perde quasi il passaggio della carovana dei Re Magi. Dopo un attimo di pausa la carovaba riparte sgommando, non puó certo permettersi, per una distrazione, di perdere la strada indicata dalla stella cometa.

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Floripa: Chove chuva

Chove chuva, chove sem parar

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Chove chuva

La pioggia inizia il pomeriggio del secondo giorno a São Paulo. Prima piano, poi sempre piú forte. Semba un temporale estivo, il clima resta caldo, ma la pioggia non accenna a smettere. Aumenta e diminuisce di intensitá ad intervalli regolari, come un fisarmonica, un concerto che procede senza sosta.
Poco male, tanto dobbiamo partire.

Oh! chuva
Eu peço que caia devagar
Só molhe esse povo de alegria
Para nunca mais chorar

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Chuva

Il bus parte alle 22.45 con l’enorme vetro anteriore che continua a riempirsi di gocce che, con regolaritá implacabile vengono spazzate via dal parabrezza, per essere subito rimpiazzate da altre.
Il viaggio, 12 ore sulla carta, si trasforma ben presto in una piccola odissea con la strada completamente bloccata per tre ore a causa di un incidente. Il posto letto, un letto vero e proprio al momento dell’acquisto in agenzia, si trasforma anche lui in semi-letto (leggi poltrona reclinabile) una volta saliti sul bus. Le mie lamentele si rivelano ben presto inutili. Il sonno é comunque tale che dormiremmo pure in piedi.

Você que tem medo de chuva
Você não é nem de papel
Muito menos feito de açúcar
Ou algo parecido com mel

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Floripa

La pioggia accompagna tutte le 16 ore del viaggio e prosegue, questo é ben peggio, anche per i successivi due giorni a Floripa.
Per fortuna abbiamo un’amica e una guida d’eccezione che ci accoglie a casa sua, ci cucina piatti deliziosi, ci porta a giro per tutta l’isola e ci rende il soggiorno indimenticabile.
Alessandra viene da un piccolo paese non distante da Florianopolis, un paese interamente creato da emigranti italiani provenienti da Bergamo a da tutto il Veneto. Nel 1800 arrivarono qua con il sogno di un futuro migliore e la promessa di trovare terre, lavoro e facilitazioni per la loro nuova vita. Nulla di tutto questo all’arrivo, se non la terra ma senza neanche gli attrezzi per coltivarla. Ripartirono da zero dunque, mettendo insieme le competenze che avevano e creando una lingua che fondeva i vari dialetti italiani dei migranti. Una lingua che non esiste in nessuna altra parte del mondo, che i nonni passarono ai nipoti e che oggi si sta piano piano perdendo. I nipoti peró, a differenza dei nonni che hanno lasciato il paese natio per necessitá e con molta sofferenza, hanno la curiositá di tornare in Italia. E cosi ha fatto Alessandra che, dopo aver studiato a lungo in Brasile, ha vissuto a Milano dove ha continuato le sue  ricerche sulla pedagogia.

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Zumbi: storia dei Quilombos

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Zumbi do Palmares

“Tutti noi, brasiliani, siamo carne della stessa carne di quegli indios e neri massacrati. Tutti noi brasiliani siamo, allo stesso tempo, anche la mano che ha perpetrato questo supplizio.
La dolcezza piú tenera e la crudeltá piú atroce qui si fondono per dare vita ad un popolo sensibile e sofferente quale siamo ma anche indifferente e brutale come anche siamo”.
Darcy Ribeiro – O povo brasileiro

Quella di Zumbi é una storia che puó contribuire a svegliare la coscienza nazionale sui crimini commessi contro i popoli oppressi durante il processo di nascita del Brasile.

Dopo le opere di Carybé sugli Orixas, a San Paolo una bella mostra dedicata a Zumbi e ad una pagina importante e non abbastanza conosciuta della storia brasiliana.

Zumbi e il principio di Quilombo sono al tempo stesso un fatto storico fondamentale e un ideale di lotta per la libertá ancora attuale. Il desiderio di fuggire da una societá ingiusta e rifugiarsi in un altrove naturale dove ricostruire un nuovo mondo libero e democratico é un sogno che ancora aleggia.

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Quilombo

Ai tempi era purtroppo una necessitá vitale. Gli schiavi, deportati dall’Africa e costretti a lavorare con turni massacranti, decimati dal viaggio e dalle terribili condizioni di vita erano costretti a fuggire verso un altrove migliore, anche se voleva dire rischiare costantemente la vita, anche se questo altrove era solo un’idea astratta, tutta da costruire.

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Fuga verso la libertá

‘Quilombo’ é il nome che oggi diamo a quelle comunitá create dagli schiavi che, ribellandosi, riuscivano a fuggire dai loro padroni e ricostruire una societá diversa da quella in cui erano stati obbligati a vivere.

Un luogo finalmente libero che nasceva da un ideale filosofico e politico ma anche necessariamente pratico e concreto.

Quello che oggi é un fatto storico determinante ma che allora, in una notte del 1590 era solo un’idea, dettata dal coraggio e dalla volontá si vivere in maniera libera e dignitosa o di morire nel tentativo di farlo.

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Zumbi

Zumbi, eroe del popolo nero, nasceva nel quilombo, nasceva come uomo libero e questo era, di per sé, un fatto eccezionale.
Catturato da bambino e cresciuto con un prete, Zumbi tornó appena possibile nel quilombo dove era nato e lottó tutta la vita per far sopravvivere quell’ideale di libertá che lo ha reso un eroe immortale.

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